venerdì 17 ottobre 2014

Biodiversità del Mediterraneo a rischio!




L’arrivo di circa 1.000 tra pesci, crostacei e alghe sta modificando l’habitat marino
La più famosa è sicuramente lei, la Caulerpa taxipholia. L’alga di origine tropicale, colore verde chiaro e alto potere infestante, è stata per anni il simbolo dell’invasione «aliena» del mar Mediterraneo, colpevole di averne colonizzato i fondali rubando spazio alle specie autoctone. Ma oggi le file degli inquilini stranieri provenienti da mari esotici e lontani (specie «aliene» o «alloctone») si sono ingrossate. E contano nomi come le triglie del Mar Rosso Upeneus pori e Upeneus moluccensis, il granchio Percnon gibbesi, la medusa Rhopilema nomadica e molti altri ancora. Un’invasione biologica senza precedenti che mette a rischio la biodiversità: ogni giorno pesci e invertebrati nativi del Mare Nostrum, già stressati da pesca eccessiva e inquinamento, infatti, devono competere duramente con gli «intrusi» per preservare il proprio habitat. E la vittoria non è sempre scontata.  Sotto accusa - ancora una volta - le attività umane. «Il trasporto via mare, l’acquacoltura e l’apertura dei grandi canali di comunicazione - spiega Stelios Katsanevakis, lo scienziato che guida il gruppo di ricerca che ha elaborato lo studio - hanno rimosso le barriere ambientali per le specie marine, che possono facilmente trasferirsi lontano dal loro areale naturale». Esaminando i dati di oltre 900 specie esotiche attraverso la nuova piattaforma EASIN (European Alien Species Information Network) i ricercatori sono riusciti a stabilirne la diffusione e le vie di introduzione. Più di 400 specie di pesci e invertebrati sono giunte dal Canale di Suez («specie lessepsiane»); poco più di 300 attraverso l’acqua di zavorra delle navi o attaccate alle carene. Circa 60 specie, soprattutto alghe, sono state introdotte accidentalmente attraverso l’acquacoltura. Colpevole anche il riscaldamento globale: le acque tra Turchia meridionale, Siria, Libano, Israele, Gaza, Cipro ed Egitto sono diventate notevolmente più calde negli ultimi 20 anni, quindi ideali per la sopravvivenza delle specie provenienti da Mar Rosso, Mar Arabico e Oceano Indiano. In questa regione del Mediterraneo, dice lo studio, fino al 40% della fauna marina è di origine «aliena».

A preoccupare maggiormente sono gli impatti ecologici ed economici di queste invasioni. Basti pensare ai pesci Siganus luridus e Siganus rivulatus («pesce coniglio»), insediatisi nel Mediterraneo orientale dall’Oceano Indiano, che stanno devastando le foreste di alghe brune a scapito delle specie che popolavano l’ecosistema. Sciami di meduse «aliene» (Rhopilema nomadica) appaiono lungo le coste per decine di chilometri con effetti negativi sul turismo, e addirittura in Israele ostacolano le attività di pesca. Altrove le comunità native di alghe, coralli e invertebrati muoiono per la mancanza di risorse causata dalla rapida crescita dell’alga Caulerpa cylindracea, che può formare tappeti di 15 centimetri di spessore e che colpisce molte località nel nostro paese. «In Italia le aree più colpite - precisa Katsanevakis - sono la costa orientale della Sicilia, il Mar Ligure e le coste adriatiche settentrionali nei pressi della laguna di Venezia. Le prime due aree sono interessate dalle specie trasportate dalle navi, mentre la laguna è colonizzata da quelle di acquacoltura».
Per arginare il fenomeno ed evitare nuove introduzioni, l’Organizzazione Marittima Internazionale ha adottato la «Ballast Water Management Convention», che obbliga le navi al trattamento delle acque di zavorra per eliminare i microrganismi estranei presenti. La convenzione però non è ancora entrata in vigore perché non ratificata da un numero sufficiente di Stati. 

Fonte: www.mondomarino.net