sabato 1 settembre 2012

L'intelligenza dei delfini

 
Che fossero tra gli animali più intelligenti del mondo marino è cosa nota. Ora però ai delfini viene riconosciuta anche una particolare abilità matematica, diversa ma probabilmente superiore rispetto a quella già riscontrata in altre specie, come gli scimpanzè, i pappagalli e persino i piccioni.
Si tratterebbe, spiega sui Proceedings of the Royal Society A Thimoty Leighton — professore di acustica sottomarina all'Università di Southampton — della capacità di applicare dei processi di matematica non lineare alla caccia della sardina.
Si tratta di questo: una delle strategie utilizzate dai delfini (ma anche da alcuni cetacei, per esempio dalla Megaptera novaeangliae, o balena gobba) per procacciarsi il cibo consiste nel circondare un banco di pesci con una nuvola di bollicine d'aria, intrappolandolo.
"A prima vista", spiega Leighton, "non si tratta di un'operazione particolarmente intelligente: perché in queste condizioni, il sonar — cioè il sistema di ecolocalizzazione di cui si servono i delfini per ricevere informazioni sul mondo circostante - non è in grado di funzionare, visto che le bollicine fanno rimbalzare il segnale in tutte le direzioni, disperdendolo. O meglio", continua il ricercatore "nessun apparecchio sonar costruito dall'essere umano è in grado di funzionare in un'acqua così "gasata". Quello dei delfini, invece, sembra funzionare assai bene". Com'è possibile?

Incuriositi dalla faccenda, Leighton e i suoi colleghi hanno cominciato a studiare gli impulsi emessi dagli animali, generandoli in condizioni sperimentali: in una vasca piena d'acqua hanno posto una piccola sfera d'acciaio (il pesce) circondata da una nuvola di bollicine, producendo poi dei segnali simili a quelli emessi dai delfini. Poiché in natura l'ampiezza di queste emissioni non è sempre la stessa, i ricercatori hanno fatto seguire al primo un impulso più debole: se il primo aveva valore 1, il secondo aveva valore 1/3. Poi, riproducendo quanto probabilmente avviene nel cervello di questi mammiferi, Leighton e colleghi hanno amplificato l'eco del secondo segnale, quello più debole, fino a portarlo allo stesso livello del primo. Alla fine, dunque, le due eco rimbalzate dalla sfera d'acciaio erano della stessa ampiezza. "Ma per raggiungere questo risultato, un delfino deve mettere in atto un procedimento matematico complesso, cioè ricordare il rapporto tra i due impulsi emessi, e calcolare poi di quanto la seconda eco vada aumentata per raggiungere quella di maggior ampiezza", continua Leighton.
Non è tutto. Le bollicine di gas generano dei falsi allarmi, perché diffondono il segnale in tutte le direzioni. E un delfino non può permettersi di perdere energie e tempo preziosi mentre le sue prede si danno alla fuga. Dunque ci deve essere un secondo passaggio che consente al delfino di distinguere l'eco generata dalle bollicine da quella generata dalla preda. Questo è possibile se si presuppone che il delfino sia in grado di compiere l'operazione inversa alla prima, cioè di sottrarre un'eco dall'altra dopo aver moltiplicato per tre la più debole. "In pratica", spiega Leighton, "la procedura matematica consente all'animale prima di 'vedere' la preda, e poi di 'nasconderla', così da assicurarsi che non si tratti di un falso allarme".
Se fosse possibile riprodurre questo modello, dicono i ricercatori, potremmo avere sonar in grado di identificare le mine anche nelle più agitate acque superficiali, o addirittura ordigni esplosivi nascosti in mezzi diversi dall'acqua, nei muri o nel fogliame.